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Proteggere la creatività del software

Un corretto approccio allo sviluppo e al sostegno dell’innovazione passa necessariamente attraverso la tutela della “creatività digitale” e, nello specifico, dei software che, in quanto strumenti abilitanti il funzionamento di un dispositivo elettronico, ci permettono di eseguire determinate operazioni in modo digitalizzato, automatizzato e di conseguenza più efficiente dal punto di vista operativo.

ùMa quali sono gli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento italiano per assicurare la protezione di quello che è a tutti gli effetti un bene giuridico immateriale?

Stante la “doppia anima” del software, doppia è anche la tutela giuridica accordatagli, crocevia tra il diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633) e le tutele previste in via generale per le nuove tecnologie emergenti.

La tutela garantita dal diritto d’autore

In primo luogo, il software è considerato un’opera dell’ingegno a carattere creativo e, come tale, gode della protezione conferita dal diritto d’autore: infatti, in quanto particolare forma di scrittura caratterizzata da un codice sorgente e un codice oggetto, il programma per elaboratore è assimilato a un’opera letteraria.

Le principali caratteristiche di questa protezione riguardano:

  • l’oggetto: la tutela accordata dal diritto d’autore riguarda la forma estetica ed espressiva dell’opera, che deve presentare il carattere essenziale dell’originalità (intesa quale particolare espressione dell’apporto creativo e personale dell’autore) e quindi il linguaggio specifico in cui è scritto il codice sorgente. La protezione è poi estesa al relativo codice oggetto, e al materiale preparatorio alla progettazione del programma stesso (documentazione tecnica e materiali di supporto correlati). Se ciò che può essere oggetto di tutela è l’espressione specifica di una determinata idea (che si estrinseca nel linguaggio di programmazione e nel conseguente output formale di interfaccia con l’utente fatto di grafiche, messaggi e suoni), comprendiamo che purtroppo non è tutelabile l’idea stessa e i principi che hanno portato allo sviluppo di quel determinato codice. Ciò rappresenta tuttavia uno svantaggio, poiché ogni volta che un altro programma esegue la stessa funzione, ma è stato scritto attraverso in maniera differente – e cioè ogni volta che attraverso un diverso codice sorgente viene raggiunto un medesimo risultato – non è possibile invocare alcuna violazione dei diritti dell’autore del software sviluppato precedentemente.
  • la durata: il diritto d’autore sorge al momento della creazione del software e dura per tutta la vita dell’autore, e fino a 70 anni dopo la sua morte.
  • i diritti accordati: all’autore del software sono conferiti diritti morali e diritti patrimoniali. I primi – inalienabili, imprescrittibili e irrinunciabili – garantiscono di poter rivendicare la paternità dell’opera e opporsi a qualsiasi tipo di deformazione, mutilazione o altra modificazione. I secondi – indipendenti tra loro e dei quali il proprietario può liberamente disporre – permettono di sfruttare economicamente l’opera, e – con specifico riferimento ai software – possono essere gestiti attraverso appositi contratti di licenza, che autorizzano i terzi al lecito utilizzo del prodotto, in cambio di un corrispettivo.

La tutela del segreto industriale o commerciale

Il software può inoltre essere protetto come segreto industriale o commerciale (artt. 98 e 99 Codice della Proprietà Industriale), e cioè quale processo o meccanismo che può fornire un vantaggio competitivo all’impresa se tenuto segreto.

Il programma acquisisce così un proprio valore commerciale, derivante dalla sua segretezza, senza necessità di registrazione (e di sostenere i relativi costi) e senza limitazioni temporali.

Tuttavia, essendo la protezione assicurata solamente contro l’acquisizione, l’uso o la rivelazione impropria di informazioni confidenziali inerenti al programma, dal momento in cui imprese concorrenti dovessero venire a conoscenza – legittimamente – di tale segreto, l’utilizzazione del software diviene libera.

Un software è brevettabile?

Storicamente in Europa, e quindi in Italia, il software non è brevettabile “in quanto tale” (mancherebbe, infatti, il profilo della materialità dell’opera, indispensabile perché questa possa essere “prodotta” su scala industriale – art. 49 Codice della proprietà industriale), ma solamente se “associato” a un quid di fisico (una componente hardware, oggetto peraltro principale della domanda di brevettabilità).

L’opinione prevalente, tuttavia, ha aperto a interpretazioni più ampie della normativa, avallando la possibilità, a determinate condizioni, di considerare anche il software quale invenzione industriale che, presentando un determinato profilo tecnico, può accedere in via d’eccezione alla tutela brevettuale, complementare a quella accordata dal diritto d’autore.

Perché ciò accada, il software deve non solo rispettare i requisiti ordinari di brevettabilità (novità, attività inventiva, e industrialità), ma anche risolvere un problema tecnico in modo nuovo e originale, con un “effetto tecnico” che rappresenti un contributo, un progresso rispetto allo stato dell’arte e che vada oltre le normali interazioni fisiche tra software e hardware e non sia un procedimento eseguibile quale mero “atto mentale”.

Sono brevettabili, per esempio, software che codificano, decodificano e, in generale, gestiscono dati, qualora siano in grado di migliorare un processo in modo innovativo. Al contrario, non sono tutelabili programmi che sostituiscano fasi manuali, con il mero effetto di velocizzazione tali operazioni.

La tutela così conferita al software sorge al momento di registrazione della domanda di brevetto, e offre – soprattutto – a chi lo detiene la possibilità di impedire ai terzi lo sviluppo di un altro programma con funzionalità identiche o analoghe, essendo l’effetto tecnico del programma il vero oggetto di protezione del brevetto, a prescindere dal codice sorgente sviluppato.


In definitiva, gli strumenti giuridici a tutela del software sono, in via generale, il diritto d’autore e, se soddisfatti alcuni requisiti, il brevetto: mentre il diritto d’autore protegge il linguaggio di programmazione del software e la sua peculiare forma di scrittura, il brevetto tutela la sua funzionalità, cioè la sequenza delle fasi eseguite dal programma (potremmo dire, il “metodo”) per ottenere un determinato risultato.

A ciò si aggiunge il segreto industriale o commerciale, il quale rappresenta una scelta alternativa alla brevettazione che l’azienda può compiere con riguardo a determinati algoritmi o funzionalità che si desidera rimangano, strategicamente, segreti.

La combinazione di queste forme di protezione fornisce un buon quadro legale per la tutela del software nel quadro del nostro ordinamento.

È tuttavia essenziale che sviluppatori e aziende siano proattivi nella gestione dei diritti associati ai software, per esempio tramite il deposito di brevetti o la registrazione delle loro opere presso la SIAE, il mantenimento dei segreti commerciali e la predisposizione di accordi di non divulgazione indirizzati a tutte le categorie di stakeholders.

Risulta poi cruciale assumere una corretta strategia di gestione dei diritti patrimoniali e, quindi, delle licenze per l’utilizzo dei software, regolando in modo specifico e attento la cessione dei diritti ivi contenuti, in modo da consentire allo sviluppatore / software house di monitorare costantemente il modo in cui vengono utilizzate le licenze acquistate da ciascun cliente.

Inoltre, considerata la natura altamente tecnica e spesso internazionale della diffusione dei software, possono emergere questioni complesse relative sia alla giurisdizione (in caso di controversie) che alla corretta applicazione dei diritti patrimoniali e di sfruttamento economico, rendendo anche in questo caso una corretta (e strategica) cornice contrattuale cruciale.

Nuovi orizzonti

Una nuova frontiera rispetto alla regolamentazione dei diritti relativi ai software si apre in merito alla tutela dei “prodotti” di queste tecnologie, in particolare delle opere generate dagli algoritmi di intelligenza artificiale, quali immagini, video o suoni.

Tutto ciò rientra nel paradigma del diritto d’autore? Se sì, chi può esserne considerato l’autore?

Il contesto normativo è attualmente piuttosto incerto, mentre la giurisprudenza, soprattutto oltreoceano, inizia a pronunciarsi sui primi casi in materia.

Ma per un approfondimento su questo tema, tanto urgente quanto complesso e aggrovigliato, rinviamo alla prossima puntata!

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